Giugno è il mese del PRIDE e avrai sicuramente notato come in questo periodo dell’anno, molti brand si tingano di arcobaleno per supportare la causa.
Ma cosa c’è di vero? Quanti supportano realmente la causa LGBT+ e quanti invece ne approfittano per l’ennesima trovata pubblicitaria?
Partiamo dall’inizio: perché esiste il pride e perché si celebra proprio a Giugno?
Perché durante gli anni ‘60 a New York, la polizia era solita irrompere nei locali gay della città, arrestando e malmenando chiunque fosse colto in abiti o atteggiamenti “osceni”.
Ma la notte del 27 giugno 1969 una donna trans, Sylvia Rivera, non ci vide più: stanca dei soprusi, lanciò una bottiglia contro la polizia, dando il via alla rivolta, che proseguì per diversi giorni. Queste rivolte sono note come i Moti di Stonewall.
Da quel momento la polizia non irruppe più in alcun locale gay, e per commemorare l’accaduto, da allora viene organizzata nel mese di giugno una parata per rivendicare i propri diritti e l’orgoglio LGBTQ+, diventando oggi un vero e proprio movimento politico a livello globale che coinvolge tutti, eterosessuali inclusi.
Il pride è ancora necessario?
La risposta è SI! Oggi il Pride è ancora necessario, oltre che per commemorare la rivendicazione dei propri diritti da parte delle persone LGBTQ+, anche per:
- Sensibilizzare le persone eterosessuali e cisgender;
- Normalizzare ed educare alla diversità e all’inclusività;
- Continuare a parlare e discutere del tema;
- Celebrare i traguardi conquistati;
- Continuare a lottare per gli obiettivi che ancora non sono stati raggiunti;
- Festeggiare questa giornata divertendosi!
Qual è il ruolo del marketing?
Durante il mese del pride molti brand puntualmente si tingono di arcobaleno per supportare la causa. Ma è sempre così? Le domande che dobbiamo porci sono:
- Questo interesse verso la causa è genuino, o è solo per fini economici?
- Questo brand cosa fa per sostenere la comunità LGBTQ+?
- Questa azienda ha tra i suoi dipendenti delle persone gay/lesbiche/trans?
- Durante il resto dell’anno, questi temi stanno a cuore al brand/azienda?
Sia chiaro, mostrare supporto non è mai un male, anche perché questo offre visibilità alla causa e pone l’attenzione sul tema, l’importante è essere coerenti e supportare veramente la causa!
Cos’è il RAINBOW WASHING?
Un po’ come il Pink Washing per quanto riguarda l’emancipazione femminile e il Green Washing per quanto concerne l’ambiente, il Rainbow Washing è un sostegno di facciata nei confronti della comunità LGBTQ+ dettato da un tornaconto personale di brand e aziende per aumentare le entrate o il consenso di un determinato target, sfruttando di fatto la nobiltà della causa per fini molto meno nobili. Occhio alla discrepanza tra la comunicazione e le azioni di un brand!
Ad esempio…
- Il controverso caso Barilla. Negli ultimi anni l’azienda ha lanciato adv, packaging e messaggi inclusivi, diventando a tutti gli effetti un brand LGBTQ+ friendly, ma non dimentichiamoci le dichiarazioni del 2013 di Guido Barilla:
“Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. (…) Io rispetto tutti, facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri.“
Le dichiarazioni generarono l’indignazione generale e il boicottaggio del brand, che portò qualche mese dopo alle scuse e ad una vera e propria riforma interna all’azienda in favore di inclusività e uguaglianza, adottando azioni concrete mirate all’inclusione. Dopo questo repentino cambio di idea ci viene da pensare: sincero pentimento o astuta mossa commerciale?
- L’incoerenza di Primark. Nel 2018 Primark lancia una collezione dedicata al Pride, composta di t-shirt, cappellini e altri articoli a tema rainbow, di cui il 20% degli incassi destinati all’associazione britannica anti-discriminazioni Stonewall. Tutto molto bello, se non fosse che Primark produce i suoi capi in Turchia, Birmania e Bangladesh, alcuni tra i paesi con il più alto tasso di discrimi- nazioni omofobe, in cui la libertà di parola ed espressione non sono rispettati, e in cui l’omosessualità è ancora punita con la reclusione, finanziando di fatto l’omofobia dilagante di tali Paesi.
SI POSSONO SUPPORTARE I DIRITTI CIVILI SENZA FARE RAINBOW WASHING?
Certo che si, ad esempio:
- Versace. Da sempre concretamente in prima linea sui diritti civili insieme al fratello Gianni, Donatella Versace è sempre stata un’alleata fin da tempi non sospetti. Dal 2020 collabora con icone LGBTQ+ come Lady Gaga e Cher, donando parte dei ricavati ad associazioni anti-bullismo, in supporto dei diritti LGBTQ+ e per la lotta all’AIDS. Inoltre, dal giugno 2022 Donatella ha fondato The Versace Foundation, un’associazione benefica che mira al supporto e alla conservazione della storia e della cultura Queer e a promuovere uguaglianza, benessere e sicurezza nella comunità.
- IKEA. La campagna “Home Pride Home” con Agedo (associazione di genitori e amici di persone LGBTQ+), definiva la casa come il luogo dell’inclusione evidenziando l’importanza del contesto familiare e sociale. L’attenzione di IKEA verso questi temi è decisamente genuina; l’azienda è molto inclusiva verso i suoi dipendenti, adottando politiche di protezione verso le minoranze, a tal punto che ogni Paese ha un ambassador che si occupa al 100% di Diversity. Oltre a collaborare con numerose associazioni filantropiche, ha un piano di inclusione LGBTQ+ globale e ha co-creato e sostenuto gli Standard di condotta delle Nazioni Unite sulla gestione della discriminazione contro le persone LGBT+ nell’ambiente di lavoro e nella comunità.